mercoledì 24 aprile 2019

Di Maio, il 25 aprile e la Brigata Ebraica

Di Maio , il 25 aprile e la Brigata  Ebraica

Autor  Antonio Camuso

La vera storia della Brigata Ebraica

…”-Nel Tirolo non c’erano foibe, quindi  facevamo  scavare la fossa  agli ex nazisti e loro collaboratori che rapivamo in Austria e  li giustiziavamo…”-


Nel clima arroventato tra i due partner di governo (Di Maio e Salvini) anche il 25 aprile è divenuto motivo del contendere in questa campagna elettorale infinita.  Mentre Salvini annunciava di andare a Corleone tra la polizia impegnata nella lotta alla mafia, il suo scomodo partner replicava che la festa della Liberazione l’avrebbe celebrata nella sinagoga di Roma per omaggiare la memoria e il contributo alla lotta antinazista della Brigata Ebraica.
Ancora una volta il nome di questa minuscola unità militare (c irca cinquemila uomini) che combattè negli ultimi due mesi di guerra in Italia, con un ruolo irrilevante, sotto le insegne dell’esercito britannico, è sfruttato strumentalmente; la cosa singolare è che mentre negli anni scorsi erano gli esponenti del CentroDestra, Lega compresa che si indignavano delle contestazioni di piazza dei filo palestinesi, all’apparire della bandiera israeliana, durante le sfilate del 25 aprile, quest’anno è il massimo esponente dei Cinquestelle a usare strumentalmente il nome della Brigata Ebraica.
Ritengo giusto, come ricercatore storico, contribuire a collocare nella giusta prospettiva, l’operato della Brigata Ebraica nella campagna d’Italia, mettendo in luce aspetti inediti e  paradossali, se confrontati sul fango gettato sui partigiani comunisti, additati a  infoibatori e spietati assassini dal revisionismo di destra.
Per non  esser accusato di dare giudizi di parte, ho ritenuto opportuno, non utilizzare  fonti ritenute della“sinistra antisionista e filo palestinese”, bensì   autori e associazioni  che fanno riferimento al sionismo italiano e internazionale e siti  facilmente verificabili, delle comunità ebraiche  che con dovizia di particolari narrano con”giusta enfasi” delle imprese della Brigata Ebraica nel suo soggiorno in Italia.

…”-Nel Tirolo non c’erano foibe, quindi  facevamo  scavare la fossa  agli ex nazisti e loro collaboratori che rapivamo in Austria e  li giustiziavamo.”

 Si potrebbe condensare in queste poche parole l’operato antinazista della Brigata Ebraica, in Italia a guerra ormai finita, se non ci fossero da annoverare le perdite subite nei due mesi di guerra convenzionale, dal febbraio 1945 all’aprile del 1945, in altre parole cinquantadue morti e qualche centinaio di feriti e ammalati vedi articolo odierno sul sole ventiquattro ore di oggi 24 aprile 2019.

Squadroni della morte a caccia di nazisti

Grazie a preziosi articoli come quelli pubblicati sul sito dell’associazione ebraica milanese sin dall’aprile del 2015 ad opera della  ricercatrice ebrea  Marina Gersony, nella pagina http://www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/mondo/chaim-miller-il-cacciatore-di-nazisti che possiamo scoprire come fosse ancora in vita nel 2015 il 93enne Chaim Miller, austriaco di nascita, fiero di aver condotto con gli uomini della Brigata Ebraica l’operazione Nakam (vendetta). “… La Brigata, suddivisa in gruppi di otto/dieci persone che agivano indipendentemente tra di loro, era fortemente motivata a scovare i nazisti che si erano macchiati di atti criminali (o di persone che in qualche modo avevano collaborato con loro), catturandone e giustiziandone molti, … Del resto le autorità britanniche che presidiavano la Carinzia non muovevano un dito per punirli».
Legger ciò fa comprendere  come altri  partigiani slavi e Italiani, maquis francesi , belgi e olandesi, a guerra finita abbiano in modi e tempi diversi, in qualche modo giustiziato alcune migliaia di nazisti e fascisti rei di una  guerra di aggressione di cinquanta milioni di  morti.
Così di fronte alla giusta convinzione che nessuno  avrebbe perseguito con altri tribunali di Norimberga, i cosiddetti pesci piccoli nazisti e fascisti, ci fu chi decise nel primo dopoguerra di farsi giustizia da sé:
«Il primo uomo delle SS l’ho ucciso dopo la guerra nel 1945, in Italia. Era un nazista di Vienna, la mia città natale, che aveva fatto stragi durante la Shoah. Quando l’ho rapito, l’ho portato in un bosco e l’ho messo di fronte alle sue azioni. Ha ammesso tutto… ho emesso il verdetto, lui ha scavato una fossa e si è inginocchiato ... È morto prima che potesse sentire il botto».

Gesta da giustizieri della notte   se non proprio da Squadroni della Morte , o da” infoibatori"

Altri particolari interessanti provengono da un articolo di Marco di Blas  apparso sul messaggero veneto nel 2009 e rintracciabile anche  sul sito ebraico  filo-sionista. http://www.ilvangelo-israele.it/news/isr_464.html
Criminali nazisti giustiziati dalla Brigata ebraica 

Il racconto di Chaim Miller, 88 anni, tornato in Carinzia e in Friuli da Gerusalemme dove vive in un kibbutz. Decine di esecuzioni e i corpi sepolti nella Valcanale. 


Dichiarazioni e interviste…racccolte in un documentario trasmesso, sempre in Germania, dall'emittente televisiva Zdf. 
    La svolta arriva con il libro di Howard Blum La brigata. Una storia di guerra, di vendetta e di redenzione, edito in Italia dal Saggiatore nel 2005. E nello stesso anno arriva in Friuli il colonnello Jonathan Pelz, ex ufficiale della Brigata ebraica, che per la prima volta ne parla al Circolo ufficiali di Udine e a Tarvisio. Pelz …accenna anche «all'Operazione Vendetta nei confronti di criminali nazisti nascosti in Carinzia». 
I boschi della Valcanale celano da oltre sessant'anni un segreto. Lungo le valli che si dipartono da Malborghetto, Camporosso, Tarvisio sono sepolti criminali nazisti giustiziati sommariamente da cellule della Brigata ebraica di stanza nella zona tra maggio e luglio del 1945, nell'ambito di un'operazione denominata "Nakam", che nella lingua ebraica significa "Vendetta". La loro ricerca, cattura e uccisione - con un colpo di pistola alla nuca o con un cappio al collo - costituisce un capitolo della storia della seconda guerra mondiale ancora non scritto, anzi rigorosamente taciuto per più di mezzo secolo.

L’inedita collaborazione tra partigiani comunisti slavi “titini” e i giustizieri della Brigata Ebraica


 «Ricevevamo indicazioni sulla presenza di ex nazisti dai partigiani jugoslavi. Di giorno facevamo sopralluoghi per localizzare le persone. La nostra uniforme britannica (distinta soltanto dalla stella di Davide su una manica, ndr) ci consentiva di attraversare il confine di Coccau e di muoverci liberamente». 
    La cattura delle persone accusate di crimini avveniva però sempre all'imbrunire: «Bussavamo alla porta, presentandoci come polizia militare. Invitavamo le persone ricercate a seguirci al comando per essere interrogate, ma anziché al comando le portavamo in Italia, dove potevamo agire senza problemi. Raggiungevamo una baita in un bosco tra Tarvisio e Malborghetto, dove la persona fermata era interrogata da altri membri della cellula. Se le accuse nei suoi confronti trovavano conferma, lo si fucilava sul posto, seppellendolo in una fossa che prima lo avevamo costretto a scavare
»
Di tutto ciò i superstiti della Brigata Ebraica ne hanno voluto parlare per rendere perpetua la memoria di questo “glorioso passato” in un film documentario dellaTelevisione tedesca ZDF, la cui copia forse sarebbe opportuno regalare insieme a quella del libro al nostro vice primo ministro Di Maio in occasione del 25 aprile. Una copia da regalare anche  ai denigratori della resistenza comunista e yugoslava, che si professano filosionisti…  e forse il rileggere di quella collaborazione tra partigiani yugoslavi  e giustizieri della Brigata Ebraica, farebbe bene anche per chi , a sinistra, condanna tout court la presenza degli striscioni della Brigata Ebraica nei cortei del 25 aprile .

Ora  e sempre Resistenza !                            

Antonio Camuso

Archivio Storico Benedetto Petrone-

Brindisi 24 -4-2019


lunedì 22 aprile 2019

Gioacchino Gesmundo di Terlizzi, partigiano pugliese

Gioacchino Gesmundo, di Terlizzi, partigiano e  martire pugliese alle Fosse Ardeatine

 

Il ricordo su Rinascita del marzo 1945, firmato da Antonello Trombadori.



Premessa:
Grazie alla donazione di alcuni reprint di Rinascita del 1945,  da parte del compagno  Peppino Antelmi di Ostuni, alla biblioteca dell’ANPI di Brindisi  che possiamo leggere quanto si scriveva  nei giorni dell’insurrezione generale contro il fascismo.
Singolare è che proprio nel numero del marzo 1945, quello che di fatto era disposizione dei compagni  e simpatizzanti del PCI , in quei giorni di Aprile  della Liberazione,  si  ricordi come martire d’Italia, un compagno pugliese  ucciso alle fosse Ardeatine, militante clandestino, partigiano  ed intellettuale molto appprezzato. Gioacchino Gesmundo di Terlizzi. In quel numero di Rinascita del Marzo 1945, mentra  l’intero Nord-Italia insorge contro i nazifascisti,  è un giovane Antonello Trombadori che scrive in memoria del nostro Gesmundo, simbolo di quel Mezzogiorno  che con il sangue  di tanti giovani ha partecipato alla Resistenza e alla Liberazione e sul cui apporto purtroppocadrà ben presto l’oblìo. Antonello Trombadori  narra  con tono enfatico dell’ opera di antifascista.di Gesmundo ma anche la voglia di riscatto dei contadini di Terlizzi, della Terra di Bari, dell’intero Mezzogiorno , che è stata tenuta nascosta sotto terra , come la bandiera Rossa della loro Lega Contadina , ma che ora è stata disseppellita e sventola, affinchè  essi siano ascoltati, in nome anche del sacrificio di Gioacchino Gesmundo.

Il testo:

“….-A Terlizzi quando la Lega contadina si riunisce intorno alla sua bandiera (una enorme bandiera rossa con la scritta bianca « Lega di Resistenza tra contadini »)  sono più di 4000 lavoratori della terra che si stringono assieme.
Quella bandiera non è di stoffa nuòva, non è stata rifatta oggi. È l’antica bandiera, forse di quarantanni orsono. È stata sotto terra per ventanni; ma i contadini non lo ignoravano e il 1° maggio di ogni anno quando rispolveravano in segno di segreta festività la giacca nera del giorno di matrimonio, avevano sul voltol’orgoglio di quel rosso celato ma non morto.
 Era in nome di quella bandiera che essi rimanevano uniti contro l’infame nemico: il padrone in camicia nera.
 Da Terlìzzi a Roma era venuto il compagno Gioacchino Gesmundo. Giovanissimo. Non un contadino. Un intellettuale che aveva studiato a fatica, tra gli stenti, quasi nella miseria, lettere classiche e filosofia. Ma il suo latino e la sua filosofia erano intrisi di un amaro sapore di terra: la terra del suo paese che nutriva nel ventre grasso, come il più fervido di tutti i suoi semi, la rossa bandiera della Lega Contadina.
Gioacchino Gesmundo era un intellettuale meridionale, formatosi alla coscienza civile sotto la tirannide fascista, nel cuore del popolo sofferente ma in lotta. Un intellettuale che aveva voluto una nuova base alla umanità e alla funzione dei suoi studi; una base popolare.. Una base popolare in funzione antifascista, nella lotta per la difesa degli interessi dei lavoratori e di tutto il paese.  
Un modo quindi d'essere intellettuale progressivo, veramente erede di quei valori nazionali che fecero grande l’intelligenza italiana.
È con questa istintiva passione che egli inizia il suo mestiere di insegnante, il suo mestiere per vivere. Nell'adempimento del suo mestiere, come un lavoratore cosciente egli va trasformando le sue intuizioni in principi di teoria e di lotta.
Prima nel Liceo di Formia, poi a Roma. Insegnando storia e filosofia conduce la sua battaglia individuale ma non meno continua, sottile e penetrante contro il fascismo.
Egli parla del Risorgimento italiano e pone il problema dei contadini del mezzogiorno e degli operai del Nord. Gli scolari non trovano queste cose nel libro di testo.Egli parla della guerra del '96 e contrappone i contadini siciliani a Crispi, in un modo nuovo.
Egli parla della guerra d'Africa e di Spagna e dice ai suoi allievi cose ignote del nostro paese. Oli scolari capiscono fatti che non avevano mai inteso ricordare: capiscono che in Italia ci sono i contadini .e gli operai, e cominciano ad amarli e tenerne conto nella loro vita, ad amare l’Italia in un modo più vero. Cominciano a misurare l’aridità e la vacuità della loro vita di meschini scolari intontiti dalla bestialità fascista, sul dolore antico, sullo spirito di lotta, sulla forza umana
degli operai e dei contadini.

Gli allievi di Gesmundo vanno a trovare in privato il loro maestro. Nella solitudine segreta del suo studio imparano a conoscere nuovi nomi, imparano ad apprendere i termini di una nuova fede: Marx, Lenin, Stalin. Imparano a schierarsi per il bene del nostro paese dalla parte del popolo e contro gli oppressori fascisti. Conoscono le vie della cospirazione e imparano a trovarsi più tardi insieme ai contadini meridionali e agli operai del Nord nelle galere fasciste con una nuova coscienza: una coscienza nazionale e di classe.
Questo era il lavoro che Gesmundo riusciva a condurre e a questo lavoro dedicava tutte le sue forze.
Dedicò la sua vita. Ma cominciò a cercare anche fuori della scuola. Cominciò a cercare attraverso le vie della lotta clandestina il suo partito: il Partito Comunista. Ma il premio più ambito di quella sua laboriosa ricerca fu quando i suoi stessi scolari di un tempo, reduci dopo il 25 luglio dalle galere fasciste, gli portarono la voce viva del Partito. E fu da quel momento, dal momento in cui i frutti con-creti della sua passione, i suoi allievi, tornavano a lui come militanti del Partito a portargli la disciplina e la linea del Partito, che Gioacchino Gesmundo divenne definitivamente un militante della classe operaia. Non un intellettuale piccolo-borghese, miope custode di un mondo di sogni, ma un intellettuale in lotta per la liberazione del suo paese nelle file popolari, contro i tedeschi e contro i fascisti. In lotta: non con le sole armi tradizionali e spesso inadeguate dell' intelletto », ma con le, armi della cospirazione, della guerra partigiana.
 Roma è invasa dai tedeschi. Gesmundo è cosciente della funzione nazionale e patriottica della classe operaia e del suo partito. Egli pensa che bisogna combattere subito con ogni mezzo contro i tedeschi e i fascisti.
Pensa che bisogna essere alla testa della lotta. Egli diventa a Roma nel cuore della lotta un attivista del movimento dei Comitati di Liberazione. La sua casa si trasforma in redazione clandestina dell’ Unità. Poi in arsenale di armi per la lotta dei  G. A. P.
È nell'adempimento della sua funzione di armiere partigiano che il compagno Gesmundo cade nelle mani delle SS. e affronta il martirio di via Tasso. Un lungo martirio muto e cosciente che ha come epilogo la strage delle Fosse Ardeatine. È così che questo intellettuale pugliese, diventato un militante della classe operaia, passato dalla lotta istintiva contro il fascismo alla lotta organizzata nelle file del Partito Comunista, si era spostato dalla sua base sociale di piccolo-borghese meridionale, per trovare un significato e una funzione veramente nazionale e progressiva al suo mestiere di intellettuale.
Recentemente al suo paese i contadini e il popolo lo hanno ricordato con un grande comizio. Garrivano nel vento quelle bandiere che in ventanni avevano .germogliato nel seno della terra dei contadini pugliesi. I contadini del suo paese hanno votato nella sua memoria un ordine del giorno. Essi vogliono che la salma del compagno trucidato dai fascisti sia trasportata in quella terra che per vent anni ha custodito intatta la loro rossa bandiera. Lo vogliono perchè il suo sepolcro sia continuo sprone a tutti per la difesa del popolo e per la conquista di una vera grande democrazia popolare nel nostro paese.
Così dopo la morte Gioacchino Gesmundo, intellettuale pugliese schierato dalla parte del popolo, conclude la sua funzione di militante della classe operaia. In questo modo egli è un esempio vivo per tutti gli intellettuali onesti e sinceri del nostro paese.

Nella sua stanza da lavoro in cui le SS. lo trovarono mentre divideva in pacchi i chiodi a quattro punte per il sabotaggio, Gesmundo viveva attorniato dalle immagini di uomini cari al suo cuore o che avevano avuto una parte nella sua formazione culturale. Tra le altre, piccola, impolverata, ve ne era una di Benedetto Croce. Dicono che Gesmundo svolgendo un pacco di chiodi per contarli dicesse a un compagno: « È invecchiato: era un uomo intelligente ma non dice più nulla »…-“
  1. T.

ANTONIO CAMUSO , ARCHIVIO STORICO BENEDETTO PETRONE-BRINDISI

Brindisi 21 aprile 2019