Quell’8 dicembre del 1977 quando Brindisi corse il rischiò di essere distrutta dal rogo del Petrolchimico….rileggendo le pagine del Quotidiano di 31 anni fa
http://www.pugliantagonista.it/archivio/p2t_scoppio_77.htm
Articolo apparso in forma ridotta sul Quotidiano di Brindisi 9 dic 2010
Non è per semplice ritualità ricordare fatti terribili come quello che avvenne l’8 dicembre del 1977, quando a Brindisi , a perite in un disastroso incendio , a seguito dello scoppio del reparto di cracking dell’etilene , furono tre operai , mentre 52 furono gravemente feriti e oltre un centinaio furono gli intossicati tra lavoratori e soccorritori.
Quella pagina di storia industriale brindisina va tenuta ben viva, come vivi debbono rimanere il ricordo dei nomi dei tre operai caduti sul posto di lavoro,forse in un ultimo disperato tentativo di far intervenire i sistemi di sicurezza.
Si chiamavano Carlo Greco, di Lecce, 47 anni operaio, Giuseppe Marulli 34, di Brindisi, quadrista e il giovane perito chimico Giovanni Palazzotto, 23 anni di Lecce, assunto da poco .
I loro nomi son legati ad un fatto che colpì profondamente l’immaginario collettivo di questa città ma molti altri, tanti, troppi rimangono anonimi: operai e impiegati morti in incidenti sul lavoro o avvelenati lentamente da quell’enorme macchina di produzione di morte, ma anche di prodotti del consumismo avanzato che il Petrolchimico di Brindisi.
Ma forse occorrerebbe ricordare anche le enormi conseguenze in impatto ambientale , in avvelenamento delle acque di falda e quelle marine che si perpetrò negli anni d’oro della chimica , dell’avvelenamento dell’aria che coinvolse l’intera popolazione brindisina e dei territori circostanti a causa di quelle torce fumose eternamente accese, che bruciavano 24 ore su 24 senza fermarsi , scarti di produzione o addirittura tutto ciò che, prodotto di giorno e impossibilitato a stoccarsi o vendersi, veniva bruciato la notte.
Tutto ciò avveniva sotto gli occhi e il naso di tutti e quindi tutti erano complici e consapevoli che questo era lo scotto da pagare affinché Brindisi, terra felix del vino e dell’olio, potesse tramutarsi nella capitale della chimica mondiale?
Rileggendo a 31 anni di distanza il paginone che il Quotidiano di Brindisi dedicò a due anni di distanza dai fatti a quella vicenda ci sarebbe da dire :”- Sì, ad eccezione dei soliti estremisti contestatori ( essendo in quei tempi l’ambientalismo ancora in fasce).”-
Nell’ineguagliabile resoconto che Vittorio Bruno Stamerra fece quel sabato 8 dicembre sulle pagine del Quotidiano si colgono fatti che oggi sarebbero prove evidenti di quando pericoloso avesse potenzialmente quell’impianto costruito a due passi dalla città.
Per venire a capo dell’incendio dovettero intervenire i vigili del fuoco di Brindisi ,Lecce, Taranto, Bari, i marinai del battaglione San Marco, le autopompe della Marina Militare e quelle dell’Aeronautica, ma che nonostante ciò si rischiò che l’intera città fosse devastata.
Si rischiò infatti lo scoppio a catena dell’intero complesso del petrolchimico, quando un momentaneo blackout tecnico bloccò la centrale elettrica che alimentava i sistemi di raffreddamento degli impianti e gas , fumo, e materiali che bruciavano con fiamme alte centinaia di metri non ricaddero sulla città solo grazie alla , allora eterna , “tramontana brindisina” , quella che oggi a causa dei cambiamenti climatici è stata sostituita dallo scirocco, che in analoghe circostanze non ci grazierebbe.
Ma altri fatti curiosi ma significativi si colgono dal resoconto di Vittorio Bruno. Quella notte, accanto a lui vi era il cooordinatore dei servizi di sicurezza della fabbrica, “casualmente” un sindacalista, come sindacalisti furono coloro che corsero in città a far aprire le saracinesche dei grossisti per acquistare ingenti partite di latte da distribuire ai soccorritori, pompieri, militari, lavoratori accorsi dalle loro case per salvare il proprio posto di lavoro.
Latte per difendersi ,( oggi sappiamo inutilmente ), dagli aggressivi chimici inalati durante le fasi di spegnimento, poiché maschere antigas erano insufficienti, inesistenti o inadeguate, insomma una debacle della sicurezza causata da troppi silenzi preventivi o troppe situazioni di comodo che avevano fatto tutti sperare che in quel Petrolchimico non succedesse mai nulla di eccezionale.
Addirittura,in un quadro torbido come raccontava Vittorio, i dirigenti della squadra politica brindisina giunsero ad ipotizzare la possibilità che lo scoppio fosse stato causato da un attentato da parte di qualche gruppo di terroristi in odor di Brigate Rosse, ma fortunatamente nessuno ci credette e sotto sotto, a denti stretti, operai e sindacalisti gli confessarono che si risparmiava sulle manutenzioni . Cosa che denunciò pubblicamente pochi giorni dopo il giornale Lotta Continua ( che a Brindisi aveva come leader Michele Boato), , senza esser mai stata smentita, pubblicando un dossier di Foro Buonaparte con le nuove disposizioni sulla riduzione dei costi della manutenzione.
Quell’8 dicembre decretò il declino di un ciclo storico della chimica brindisina ed italiana, ma fu usato anche come arma di ricatto per un’altra fase complessa della storia della nostra città: quella delle centrali a Carbone.
Nella cronaca di quel Quotidiano del 1979 troviamo ciò che racconta Vittorio Bruno:
”… Nel pomeriggio dell’8 dicembre 1977 il presidente della Montedison Giuseppe Medici annunciò:-Nessun operaio perderà il posto e ricostruiremo l’impianto!-“…
Un'altra offerta affinché la Montedison non fosse messa sotto accusa, che quei silenzi complici perdurassero e che nessuno mettesse in dubbio la validità delle scelte governative ed industriali dell’epoca.
Sappiamo che furono promesse da marinaio:il reparto non fu ricostruito e a Brindisi la parola cassa integrazione e licenziamenti divennero la costante delle vicende sindacali e politiche.
Con questo ricatto si giunse all’arrivo dei padroni del Carbone e dell’Energia e nonostante mobilitazioni ambientaliste e referendum popolari sorse a Sud di Brindisi la megacentrale di Cerano, con le note vicende delle convenzioni mancate o disattese.
Oggi 8 dicembre 2010 possiamo attenderci finalmente che una nuova convenzione possa ristabilire un equo scambio tra esigenze occupazionali e qualità della vita della popolazione brindisina e limitrofa? Possiamo sperare che le inchieste della magistratura riescano a far piegare le esigenze del profitto e della ricerca dell’abbassamento dei costi ai danni che certe lavorazioni industriali producono su di noi e le nostre generazioni future? O al contrario prevarranno le motivazioni con le quali si continua a ipotizzare,a poca distanza dai luoghi di quel disastro, uno dei più grandi rigassificatori d’Europa, mentre ancor oggi quelle torce fumanti regalano spettacoli luminosi, ma non solo, alla città nonostante inchieste giudiziare, sequestri e richieste di adeguamento agli standard ambientali?
ANTONIO CAMUSO
Archivio Storico Benedetto Petrone
Brindisi 8 dicembre 2010
http://www.pugliantagonista.it/archivio/p2t_scoppio_77.htm
Articolo apparso in forma ridotta sul Quotidiano di Brindisi 9 dic 2010
Non è per semplice ritualità ricordare fatti terribili come quello che avvenne l’8 dicembre del 1977, quando a Brindisi , a perite in un disastroso incendio , a seguito dello scoppio del reparto di cracking dell’etilene , furono tre operai , mentre 52 furono gravemente feriti e oltre un centinaio furono gli intossicati tra lavoratori e soccorritori.
Quella pagina di storia industriale brindisina va tenuta ben viva, come vivi debbono rimanere il ricordo dei nomi dei tre operai caduti sul posto di lavoro,forse in un ultimo disperato tentativo di far intervenire i sistemi di sicurezza.
Si chiamavano Carlo Greco, di Lecce, 47 anni operaio, Giuseppe Marulli 34, di Brindisi, quadrista e il giovane perito chimico Giovanni Palazzotto, 23 anni di Lecce, assunto da poco .
I loro nomi son legati ad un fatto che colpì profondamente l’immaginario collettivo di questa città ma molti altri, tanti, troppi rimangono anonimi: operai e impiegati morti in incidenti sul lavoro o avvelenati lentamente da quell’enorme macchina di produzione di morte, ma anche di prodotti del consumismo avanzato che il Petrolchimico di Brindisi.
Ma forse occorrerebbe ricordare anche le enormi conseguenze in impatto ambientale , in avvelenamento delle acque di falda e quelle marine che si perpetrò negli anni d’oro della chimica , dell’avvelenamento dell’aria che coinvolse l’intera popolazione brindisina e dei territori circostanti a causa di quelle torce fumose eternamente accese, che bruciavano 24 ore su 24 senza fermarsi , scarti di produzione o addirittura tutto ciò che, prodotto di giorno e impossibilitato a stoccarsi o vendersi, veniva bruciato la notte.
Tutto ciò avveniva sotto gli occhi e il naso di tutti e quindi tutti erano complici e consapevoli che questo era lo scotto da pagare affinché Brindisi, terra felix del vino e dell’olio, potesse tramutarsi nella capitale della chimica mondiale?
Rileggendo a 31 anni di distanza il paginone che il Quotidiano di Brindisi dedicò a due anni di distanza dai fatti a quella vicenda ci sarebbe da dire :”- Sì, ad eccezione dei soliti estremisti contestatori ( essendo in quei tempi l’ambientalismo ancora in fasce).”-
Nell’ineguagliabile resoconto che Vittorio Bruno Stamerra fece quel sabato 8 dicembre sulle pagine del Quotidiano si colgono fatti che oggi sarebbero prove evidenti di quando pericoloso avesse potenzialmente quell’impianto costruito a due passi dalla città.
Per venire a capo dell’incendio dovettero intervenire i vigili del fuoco di Brindisi ,Lecce, Taranto, Bari, i marinai del battaglione San Marco, le autopompe della Marina Militare e quelle dell’Aeronautica, ma che nonostante ciò si rischiò che l’intera città fosse devastata.
Si rischiò infatti lo scoppio a catena dell’intero complesso del petrolchimico, quando un momentaneo blackout tecnico bloccò la centrale elettrica che alimentava i sistemi di raffreddamento degli impianti e gas , fumo, e materiali che bruciavano con fiamme alte centinaia di metri non ricaddero sulla città solo grazie alla , allora eterna , “tramontana brindisina” , quella che oggi a causa dei cambiamenti climatici è stata sostituita dallo scirocco, che in analoghe circostanze non ci grazierebbe.
Ma altri fatti curiosi ma significativi si colgono dal resoconto di Vittorio Bruno. Quella notte, accanto a lui vi era il cooordinatore dei servizi di sicurezza della fabbrica, “casualmente” un sindacalista, come sindacalisti furono coloro che corsero in città a far aprire le saracinesche dei grossisti per acquistare ingenti partite di latte da distribuire ai soccorritori, pompieri, militari, lavoratori accorsi dalle loro case per salvare il proprio posto di lavoro.
Latte per difendersi ,( oggi sappiamo inutilmente ), dagli aggressivi chimici inalati durante le fasi di spegnimento, poiché maschere antigas erano insufficienti, inesistenti o inadeguate, insomma una debacle della sicurezza causata da troppi silenzi preventivi o troppe situazioni di comodo che avevano fatto tutti sperare che in quel Petrolchimico non succedesse mai nulla di eccezionale.
Addirittura,in un quadro torbido come raccontava Vittorio, i dirigenti della squadra politica brindisina giunsero ad ipotizzare la possibilità che lo scoppio fosse stato causato da un attentato da parte di qualche gruppo di terroristi in odor di Brigate Rosse, ma fortunatamente nessuno ci credette e sotto sotto, a denti stretti, operai e sindacalisti gli confessarono che si risparmiava sulle manutenzioni . Cosa che denunciò pubblicamente pochi giorni dopo il giornale Lotta Continua ( che a Brindisi aveva come leader Michele Boato), , senza esser mai stata smentita, pubblicando un dossier di Foro Buonaparte con le nuove disposizioni sulla riduzione dei costi della manutenzione.
Quell’8 dicembre decretò il declino di un ciclo storico della chimica brindisina ed italiana, ma fu usato anche come arma di ricatto per un’altra fase complessa della storia della nostra città: quella delle centrali a Carbone.
Nella cronaca di quel Quotidiano del 1979 troviamo ciò che racconta Vittorio Bruno:
”… Nel pomeriggio dell’8 dicembre 1977 il presidente della Montedison Giuseppe Medici annunciò:-Nessun operaio perderà il posto e ricostruiremo l’impianto!-“…
Un'altra offerta affinché la Montedison non fosse messa sotto accusa, che quei silenzi complici perdurassero e che nessuno mettesse in dubbio la validità delle scelte governative ed industriali dell’epoca.
Sappiamo che furono promesse da marinaio:il reparto non fu ricostruito e a Brindisi la parola cassa integrazione e licenziamenti divennero la costante delle vicende sindacali e politiche.
Con questo ricatto si giunse all’arrivo dei padroni del Carbone e dell’Energia e nonostante mobilitazioni ambientaliste e referendum popolari sorse a Sud di Brindisi la megacentrale di Cerano, con le note vicende delle convenzioni mancate o disattese.
Oggi 8 dicembre 2010 possiamo attenderci finalmente che una nuova convenzione possa ristabilire un equo scambio tra esigenze occupazionali e qualità della vita della popolazione brindisina e limitrofa? Possiamo sperare che le inchieste della magistratura riescano a far piegare le esigenze del profitto e della ricerca dell’abbassamento dei costi ai danni che certe lavorazioni industriali producono su di noi e le nostre generazioni future? O al contrario prevarranno le motivazioni con le quali si continua a ipotizzare,a poca distanza dai luoghi di quel disastro, uno dei più grandi rigassificatori d’Europa, mentre ancor oggi quelle torce fumanti regalano spettacoli luminosi, ma non solo, alla città nonostante inchieste giudiziare, sequestri e richieste di adeguamento agli standard ambientali?
ANTONIO CAMUSO
Archivio Storico Benedetto Petrone
Brindisi 8 dicembre 2010
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