lunedì 22 aprile 2019

Gioacchino Gesmundo di Terlizzi, partigiano pugliese

Gioacchino Gesmundo, di Terlizzi, partigiano e  martire pugliese alle Fosse Ardeatine

 

Il ricordo su Rinascita del marzo 1945, firmato da Antonello Trombadori.



Premessa:
Grazie alla donazione di alcuni reprint di Rinascita del 1945,  da parte del compagno  Peppino Antelmi di Ostuni, alla biblioteca dell’ANPI di Brindisi  che possiamo leggere quanto si scriveva  nei giorni dell’insurrezione generale contro il fascismo.
Singolare è che proprio nel numero del marzo 1945, quello che di fatto era disposizione dei compagni  e simpatizzanti del PCI , in quei giorni di Aprile  della Liberazione,  si  ricordi come martire d’Italia, un compagno pugliese  ucciso alle fosse Ardeatine, militante clandestino, partigiano  ed intellettuale molto appprezzato. Gioacchino Gesmundo di Terlizzi. In quel numero di Rinascita del Marzo 1945, mentra  l’intero Nord-Italia insorge contro i nazifascisti,  è un giovane Antonello Trombadori che scrive in memoria del nostro Gesmundo, simbolo di quel Mezzogiorno  che con il sangue  di tanti giovani ha partecipato alla Resistenza e alla Liberazione e sul cui apporto purtroppocadrà ben presto l’oblìo. Antonello Trombadori  narra  con tono enfatico dell’ opera di antifascista.di Gesmundo ma anche la voglia di riscatto dei contadini di Terlizzi, della Terra di Bari, dell’intero Mezzogiorno , che è stata tenuta nascosta sotto terra , come la bandiera Rossa della loro Lega Contadina , ma che ora è stata disseppellita e sventola, affinchè  essi siano ascoltati, in nome anche del sacrificio di Gioacchino Gesmundo.

Il testo:

“….-A Terlizzi quando la Lega contadina si riunisce intorno alla sua bandiera (una enorme bandiera rossa con la scritta bianca « Lega di Resistenza tra contadini »)  sono più di 4000 lavoratori della terra che si stringono assieme.
Quella bandiera non è di stoffa nuòva, non è stata rifatta oggi. È l’antica bandiera, forse di quarantanni orsono. È stata sotto terra per ventanni; ma i contadini non lo ignoravano e il 1° maggio di ogni anno quando rispolveravano in segno di segreta festività la giacca nera del giorno di matrimonio, avevano sul voltol’orgoglio di quel rosso celato ma non morto.
 Era in nome di quella bandiera che essi rimanevano uniti contro l’infame nemico: il padrone in camicia nera.
 Da Terlìzzi a Roma era venuto il compagno Gioacchino Gesmundo. Giovanissimo. Non un contadino. Un intellettuale che aveva studiato a fatica, tra gli stenti, quasi nella miseria, lettere classiche e filosofia. Ma il suo latino e la sua filosofia erano intrisi di un amaro sapore di terra: la terra del suo paese che nutriva nel ventre grasso, come il più fervido di tutti i suoi semi, la rossa bandiera della Lega Contadina.
Gioacchino Gesmundo era un intellettuale meridionale, formatosi alla coscienza civile sotto la tirannide fascista, nel cuore del popolo sofferente ma in lotta. Un intellettuale che aveva voluto una nuova base alla umanità e alla funzione dei suoi studi; una base popolare.. Una base popolare in funzione antifascista, nella lotta per la difesa degli interessi dei lavoratori e di tutto il paese.  
Un modo quindi d'essere intellettuale progressivo, veramente erede di quei valori nazionali che fecero grande l’intelligenza italiana.
È con questa istintiva passione che egli inizia il suo mestiere di insegnante, il suo mestiere per vivere. Nell'adempimento del suo mestiere, come un lavoratore cosciente egli va trasformando le sue intuizioni in principi di teoria e di lotta.
Prima nel Liceo di Formia, poi a Roma. Insegnando storia e filosofia conduce la sua battaglia individuale ma non meno continua, sottile e penetrante contro il fascismo.
Egli parla del Risorgimento italiano e pone il problema dei contadini del mezzogiorno e degli operai del Nord. Gli scolari non trovano queste cose nel libro di testo.Egli parla della guerra del '96 e contrappone i contadini siciliani a Crispi, in un modo nuovo.
Egli parla della guerra d'Africa e di Spagna e dice ai suoi allievi cose ignote del nostro paese. Oli scolari capiscono fatti che non avevano mai inteso ricordare: capiscono che in Italia ci sono i contadini .e gli operai, e cominciano ad amarli e tenerne conto nella loro vita, ad amare l’Italia in un modo più vero. Cominciano a misurare l’aridità e la vacuità della loro vita di meschini scolari intontiti dalla bestialità fascista, sul dolore antico, sullo spirito di lotta, sulla forza umana
degli operai e dei contadini.

Gli allievi di Gesmundo vanno a trovare in privato il loro maestro. Nella solitudine segreta del suo studio imparano a conoscere nuovi nomi, imparano ad apprendere i termini di una nuova fede: Marx, Lenin, Stalin. Imparano a schierarsi per il bene del nostro paese dalla parte del popolo e contro gli oppressori fascisti. Conoscono le vie della cospirazione e imparano a trovarsi più tardi insieme ai contadini meridionali e agli operai del Nord nelle galere fasciste con una nuova coscienza: una coscienza nazionale e di classe.
Questo era il lavoro che Gesmundo riusciva a condurre e a questo lavoro dedicava tutte le sue forze.
Dedicò la sua vita. Ma cominciò a cercare anche fuori della scuola. Cominciò a cercare attraverso le vie della lotta clandestina il suo partito: il Partito Comunista. Ma il premio più ambito di quella sua laboriosa ricerca fu quando i suoi stessi scolari di un tempo, reduci dopo il 25 luglio dalle galere fasciste, gli portarono la voce viva del Partito. E fu da quel momento, dal momento in cui i frutti con-creti della sua passione, i suoi allievi, tornavano a lui come militanti del Partito a portargli la disciplina e la linea del Partito, che Gioacchino Gesmundo divenne definitivamente un militante della classe operaia. Non un intellettuale piccolo-borghese, miope custode di un mondo di sogni, ma un intellettuale in lotta per la liberazione del suo paese nelle file popolari, contro i tedeschi e contro i fascisti. In lotta: non con le sole armi tradizionali e spesso inadeguate dell' intelletto », ma con le, armi della cospirazione, della guerra partigiana.
 Roma è invasa dai tedeschi. Gesmundo è cosciente della funzione nazionale e patriottica della classe operaia e del suo partito. Egli pensa che bisogna combattere subito con ogni mezzo contro i tedeschi e i fascisti.
Pensa che bisogna essere alla testa della lotta. Egli diventa a Roma nel cuore della lotta un attivista del movimento dei Comitati di Liberazione. La sua casa si trasforma in redazione clandestina dell’ Unità. Poi in arsenale di armi per la lotta dei  G. A. P.
È nell'adempimento della sua funzione di armiere partigiano che il compagno Gesmundo cade nelle mani delle SS. e affronta il martirio di via Tasso. Un lungo martirio muto e cosciente che ha come epilogo la strage delle Fosse Ardeatine. È così che questo intellettuale pugliese, diventato un militante della classe operaia, passato dalla lotta istintiva contro il fascismo alla lotta organizzata nelle file del Partito Comunista, si era spostato dalla sua base sociale di piccolo-borghese meridionale, per trovare un significato e una funzione veramente nazionale e progressiva al suo mestiere di intellettuale.
Recentemente al suo paese i contadini e il popolo lo hanno ricordato con un grande comizio. Garrivano nel vento quelle bandiere che in ventanni avevano .germogliato nel seno della terra dei contadini pugliesi. I contadini del suo paese hanno votato nella sua memoria un ordine del giorno. Essi vogliono che la salma del compagno trucidato dai fascisti sia trasportata in quella terra che per vent anni ha custodito intatta la loro rossa bandiera. Lo vogliono perchè il suo sepolcro sia continuo sprone a tutti per la difesa del popolo e per la conquista di una vera grande democrazia popolare nel nostro paese.
Così dopo la morte Gioacchino Gesmundo, intellettuale pugliese schierato dalla parte del popolo, conclude la sua funzione di militante della classe operaia. In questo modo egli è un esempio vivo per tutti gli intellettuali onesti e sinceri del nostro paese.

Nella sua stanza da lavoro in cui le SS. lo trovarono mentre divideva in pacchi i chiodi a quattro punte per il sabotaggio, Gesmundo viveva attorniato dalle immagini di uomini cari al suo cuore o che avevano avuto una parte nella sua formazione culturale. Tra le altre, piccola, impolverata, ve ne era una di Benedetto Croce. Dicono che Gesmundo svolgendo un pacco di chiodi per contarli dicesse a un compagno: « È invecchiato: era un uomo intelligente ma non dice più nulla »…-“
  1. T.

ANTONIO CAMUSO , ARCHIVIO STORICO BENEDETTO PETRONE-BRINDISI

Brindisi 21 aprile 2019

 

 

 

 

 

 


 

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